05.40 – NON FATEVI TESORI SULLA TERRA (Matteo 6.19-21)

05.40 –Non fatevi tesori sulla terra (Matteo 6.19-21)

“…19Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassìnano e rubano; 20accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassìnano e non rubano. 21Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore.

In questo nostro percorso sulla lettura cronologia dei Vangeli nonostante i limiti, ho ritenuto opportuno riprendere dal verso 19 tralasciando quelli da 14 a 18 perché già affrontati col “Padre nostro”; leggiamo infatti: “Se voi perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe”). Abbiamo fatto lo stesso anche quando abbiamo trattato la vanità e l’ipocrisia come motore delle azioni religiose: “E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che è nel segreto, ti ricompenserà” (vv.19-21).

Possiamo dire che, con i versi oggetto di meditazione, Nostro Signore torna agli esempi semplici, immediatamente comprensibili ai suoi uditori di allora come di oggi. In particolare, se la presenza dei ladri che scassinano e rubano è a prescindere dall’epoca, è il dettaglio della “tarma”e della “ruggine”a portarci ai tempi antichi e, allo stesso tempo, a darci un dettaglio importante: i “tesori sulla terra” di cui parla Gesù sono costituiti da tutto quanto è soggettivamente prezioso, che può essere riconosciuto in quel “per voi”, riferito alle esigenze e attitudini di ciascuno. Se accumulo qualcosa “per me”, significa che intendo mettere da parte per un futuro che non mi appartiene ciò che mi rappresenta, ciò a cui tengo e che non voglio condividere con altri. Accumulare richiede attenzione ed energie e chi lo fa mette in atto il suo progetto di soddisfazione personale. In ciò che ammassiamo “per noi” ci sono spesso le nostre aspettative future e, se il caso più comune e banale è l’accumulo di denaro, possiamo avere anche quello di libri, quadri, gioielli, orologi, francobolli, case, terreni, insomma tutto quanto mettiamo da parte per poi controllarlo, ammirarlo, sapere che esiste perché nostro. “La roba”, insomma. A volte, l’uomo tende a identificarsi in ciò che possiede a tal punto da vederlo come una propria creatura.

Le parole di Nostro Signore non intendono essere un invito alla povertà e a disprezzare il mettere da parte per il proprio futuro, ma sottolineare il controsenso tra il premunirsi eccessivamente per la propria vita terrena a scapito di quella futura. Leggiamo in 2 Corinti 12.14 “Non spetta ai figli mettere da parte per i genitori, ma ai genitori per i figli” e “Se poi uno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele” (1 Timoteo 5.8). Mettere da parte e risparmiare è una cosa, accumulare tesori “per noi” è un’altra, dipende dal valore che dà il cuore alle cose, se queste diventano o sono dominanti.

Gesù sul monte non si rivolge a persone particolarmente ricche o avide come quelle che incontreremo nelle parabole o in altre situazioni, ma a chi tra loro aveva il concetto dell’accumulare anche piccole cose senza escludere le grandi, come appunto testimoniato dalla “tarma”, che intaccava le vesti preziose che i ricchi tenevano sia per loro stessi, sia per far doni o per essere distribuite agli invitati di una loro festa. Pensiamo poi alla “ruggine”, dall’originale “bròsis” indicante quel consumo e perdita di peso che non intaccava l’oro o l’argento, ma le monete di bronzo comuni che, ammassate in quantità, consistevano senza dubbio quei “tesori” eventualmente ammassati dagli uditori del Signore. Siccome banche a quel tempo non esistevano; le monete venivano nascoste sotto terra o in punti particolari nelle case, ma si deterioravano o potevano essere rubate dai ladri, andando così perdute per il furto oppure decadevano in peso e valore.

Chi vorrebbe monete arrugginite? E ancora, chi passerebbe il tempo a togliere da loro la ruggine, data la quantità accumulata di monete? Ne uscirebbe un lavoro enorme, non retribuito, che andrebbe ad aggiungersi a quello già fatto per aver guadagnato quella somma, ora diventata inservibile.

Ecco allora che, con questo semplice esempio, Gesù vuole avvertire l’uomo che lo ascolta quanto non possa avere nulla di certo: la persona guadagna e mette da parte, ma non è detto che un giorno possa godere il frutto delle sue fatiche. La persona accumula per sé presumendo di assaporare un giorno il risultato dei suoi sforzi, ma può perdere ogni cosa; pensiamo alle tragedie che si verificano anche oggi, in cui persone che hanno investito i risparmi di una vita, o la liquidazione, si sono ritrovate senza nulla perché truffati o semplicemente perché le banche che avrebbero dovuto tutelarli sono fallite. Pensiamo ai terremoti, agli uragani o alle inondazioni che, di colpo, cancellano e portano via in un attimo ciò che le persone hanno costruito o realizzato con fatica.

Ebbene Gesù esorta ancora una volta i suoi uditori ad alzare lo sguardo, a cercare di cambiare frequenza ricettiva, ad andare oltre perché ai tesori che si possono sempre perdere si contrappongono quelli messi da parte nel cielo, che la perfetta contabilità di Dio ripone con interessi inossidabili. E qui ci ritroviamo ancora una volta di fronte ai baratri che si frappongono tra ciò che è terreno e spirituale come rileviamo nei due “accumulate per voi” del testo: chi lo fa per i “tesori sulla terra” avrà corruzione e perdita come risultato, chi lo fa per quelli in cielo non solo ritroverà tutto quanto che avrà messo da parte, ma lo vedrà moltiplicato secondo le promesse di Gesù ai suoi quando parlò loro del “premio” e delle “corone” di giustizia, gloria e vita.

C’è però una precisazione fondamentale, e cioè che Gesù ancora una volta pone l’accento sul cuore: a nulla serve abbandonare la volontà dell’accumulare i tesori se il esso non è rinnovato, se non acquisisce, se non assimila il principio dell’aderire a Dio con tutto se stesso rifiutando l’inganno satanico nelle ricchezze di questo mondo: viceversa, nulla cambierà, si correrebbe il rischio di cadere nella religiosità, vale a dire di abbandonare qualcosa per uno o più precetti astratti per poi ritrovarsi più vuoti di prima ed essere costretti a fingere davanti a se stessi e agli altri per sopravvivere. Scrive l’apostolo Paolo: “Quelli che invece vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell’inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione. L’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti” (1 Timoteo 6.9,10). Rileviamo qui alcune parole significative che si pongono in antitesi alla libertà nella quale viene posta la persona che fa proprio il Vangelo: “inganno”, “insensato”, “dannoso”, “affogare”, “rovina”, “perdizione” sono termini che non lasciano scampo; soprattutto è la presenza del desiderio insensato e dannoso che fa riflettere perché porta direttamente alla fine, alla nostra essenza mortale. Siamo esseri che, per quanto intelligenti e in grado di progettare, abbiamo un termine che non conosciamo e che Satana ci tiene nascosto a livello di idea, di concetto. L’uomo infatti è convinto di avere un domani, sempre.

Ricordiamo le parole “Sì, sono un soffio i figli di Adamo, una menzogna tutti i figli degli uomini: tutti insieme, posti sulla bilancia, sono più lievi di un soffio” (Salmo 62.10) e Proverbi 23.4,5 “Non affannarti per accumulare ricchezze, sii intelligente e rinuncia. Su di esse volano i tuoi occhi, ma già non ci sono più: perché mettono ali come aquila e volano verso il cielo”. Ecco allora che i tesori, anziché parlare di potenza, di posizione altolocata e sotto certi aspetti intoccabilità nel contesto umano, ne attestano la fragilità: in opposizione alla gloria terrena, scrive il salmista “Fammi conoscere, Signore, la mia fine, quale sia la misura dei miei giorni, e saprò quanto fragile io sono. Ecco, di pochi palmi hai fatto i miei giorni, è un nulla per te la durata della mia vita. Sì è solo un soffio ogni uomo che vive. Sì, è come un soffio chi si affanna, accumula e non sa chi raccolga”. Sono versi che ciascuno può meditare come meglio crede, tenendo presente che a nulla serve pensare che, essendo la vita breve, è meglio viverla nel migliore dei modi: questo sarebbe un’idea valida a condizione che questa fosse veramente una sola, ma come affrontare l’altra, che non potrà esistere se quella sulla terra si sarà basata sul consumo della stessa e se nulla si sarà fatto per accumulare i “tesori nel cielo” di cui ha parlato Nostro Signore? Si tratta di un tema estremamente serio: ho conosciuto molte persone non credenti che, in salute, accettavano serenamente l’idea della morte, ma piangevano ed erano terrorizzati nel momento in cui credevano si avvicinasse. O si avvicinava per davvero. E nel lavoro che svolgevo un tempo ne ho visti tanti.

Salomone, figlio di Davide, uomo di cui troviamo scritto molto nella Bibbia, scrisse fra gli altri il libro dell’Ecclesiaste, o Qoèlet, in cui riversò la sua esperienza particolare di uomo. Leggiamo alcune sue parole 2.3-11: “Ho voluto fare un’esperienza– che come re cui nulla era precluso poteva concedersi. Salomone cioè volle provare, diremmo oggi, “qualcosa di diverso” –:allietare il mio corpo con il vino e così afferrare la follia, pur dedicandomi con la mente alla sapienza”. La sua ricerca si volse dunque alla soddisfazione della sua persona, sperava di trovare delle alternative alla gestione responsabile del suo rapporto con Dio che lo aveva onorato consentendogli di edificargli il Tempio oltre che colmarlo di ricchezze proporzionali alla sua saggezza di cui, alla fine, io sospetto non sapeva cosa farsene perché venutegli a noia. Infatti l’autore del testo continua e scrive “Volevo scoprire se c’è qualche bene per gli uomini che essi possono realizzare sotto il cielo durante i pochi giorni della loro vita”. Volle cioè rendersi indipendente da quello che la sapienza di Dio già gli aveva rivelato e toccare con mano. Notare l’espressione “i pochi giorni”: solo chi è avanti negli anni e si volta indietro scopre che il suo tempo è passato come un soffio. I giovani, al limite, sospettano che sia così, se sono in grado di guardare al loro debole passato e un delirio di onnipotenza non s’impossessa di loro o l’inesperienza non si fa dogma.

Per far capire al lettore chi sia stato e cos’abbia realizzato, ecco che Salomone si presenta: “Ho intrapreso grandi opere, mi sono fabbricato case, mi sono piantato vigneti. Mi sono fatto parchi e giardini e vi ho piantato alberi da frutto di ogni specie; mi sono fatto vasche per irrigare con l’acqua quelle piantagioni in crescita”. Quest’uomo quindi ebbe la possibilità di contemplare il risultato delle proprie fatiche, che non si limitarono alla realizzazione di grandi opere: “Ho acquistato schiavi e schiave e altri ne ho avuti nati in casa; ho posseduto anche armenti e greggi in gran numero, più di tutti i miei predecessori in Gerusalemme. Ho accumulato per me– ecco l’ “accumulare per voi” di cui Gesù parla – anche argento e oro, ricchezze di re e provincie. Mi sono procurato cantori e cantatrici, insieme con molte donne, delizie degli uomini. Sono divenuto più ricco e potente di tutti i miei predecessori a Gerusalemme, pur conservando la mia sapienza”. La ricerca di Salomone fu quindi “a tutto tondo”, senza tralasciare nulla, la sua fu una ricerca del piacere secondo la carne e sappiamo che questa comportò il traviamento del suo essere. Prosegue confessando “Non ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano, né ho rifiutato alcuna soddisfazione al mio cuore, che godeva di ogni mia fatica: questa è stata la mia parte che ho ricavato da tutte le mie fatiche”. Salomone potrebbe essere considerato l’equivalente degli uomini e donne che vengono citati ogni anno dalla rivista “Forbes” che pubblica i nomi delle persone più ricche del mondo in termini di miliardi di dollari USA.

Ebbene, alla fine, è scritto nel nostro testo: “Ho considerato tutte le opere fatte dalle mie mani e tutta la fatica che avevo affrontato per realizzarle. Ed ecco, tutto è vanità e un correre dietro al vento. Non c’è alcun guadagno sotto il sole”. Perché? Perché se tutto si basasse sulla soddisfazione personale non resterebbe altro che un terribile, arido deserto che ci sforzeremmo di vedere fiorito.

Io ho visto come vivono i ricchi. Pur non appartenendo al loro ambiente, da giovane sono stato ammesso alla loro cerchia, forse perché mi ritenevano simpatico oppure li incuriosivo in quanto diverso da loro pur non essendo di condizione sociale umile. Anche la vita del ricco è fatta di piccole cose, esattamente come quella del povero. A parte la preoccupazione di come spendere i propri soldi, nulla cambia e ciò che può apparire attraente per chi non ha le loro possibilità economiche, per loro è la norma per cui vivere un’estate su una barca del costo di centinaia di milioni equivale ad uscire in mare con un canotto per un ragioniere di banca. Avere molte ville in giro per l’Italia o il mondo significa spesso dimorarvi per qualche tempo e non sapere cosa fare ed escogitare stratagemmi per non annoiarsi, vivendo di quello che offre un giorno che anche per loro porta la sua pena. Ogni istante sono costretti ad affidarsi al presente, alla carne, alla terra.

Eppure, ciascuno ha il suo tesoro cui rimane attaccato perché altrimenti non saprebbe come vivere. Gesù però dice “dove è il tuo tesoro, qui sarà il tuo cuore”. È un invito a considerare la propria condizione di vita, la propria prospettiva perché sta a noi scegliere il terreno sul quale costruire. Abbiamo una vita da vivere sulla terra e siamo chiamati a gestirla con accortezza e non certo da incoscienti, il che comprende tanto la dissolutezza quanto il misticismo inconcludente, tenendo presente che “(Dio Padre) ci ha rigenerati per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi” (1 Pietro 1.4). Credo che i veri cristiani siano invitati a considerare se si identificano o meno in queste parole: “Chi avrò per me nel cielo? Con te non desidero nulla sulla terra. Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma Dio è roccia del mio cuore, mia parte per sempre” (Salmo 72.25,26). Se manca l’identificazione in questo passo, occorre che si lasci agire lo Spirito Santo e procedere ad una profonda rivisitazione del proprio stato.

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