05.41 – L’OCCHIO, LAMPADA DEL CORPO (Matteo 6.22-23)

05.41 – L’occhio, lampada del corpo (Matteo 6.22-23)

 

22La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; 23ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!

 

Prima di questo pensiero sappiamo che Gesù disse “Dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”, quindi: nessuno può fare a meno di continuare a pensare all’oggetto dei propri affetti, o interessi, a prescindere da quali essi siano. Ecco allora che la presenza del “tesoro” è il punto di partenza per una trattazione di argomenti che toccano l’umana condotta e il modo di pensare (i versi di cui ci occuperemo oggi), per poi arrivare allo stato di sudditanza nei confronti della ricchezza come miraggio conseguito sulla terra, o realizzato presso Dio. È da lì che, poi, ne consegue tutto l’atteggiamento nei confronti della vita terrena. Nostro Signore non fa qui della filosofia come potrebbe sembrare, ma dà dei principi appartenenti più all’analisi della persona umana che a un’osservazione distaccata dei comportamenti o al consigliare un atteggiamento nei confronti della vita perché “tanto tutto passa”: correlato ai versi che abbiamo letto e leggeremo è il principio che troviamo in Luca 6.45 “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda”. Facciamo attenzione al testo: “dal cuore”indica la provenienza e sappiamo cosa significhi quest’organo per la Scrittura. Il “sovrabbonda”poi parla di ciò che è in eccesso, quindi quello che naturalmente ne esce come se fosse un recipiente colmo fino all’orlo che così trabocca. Certo tutto questo vale se l’individuo in questione non simula, ma possiamo dire che nessuno sfugge al principio in base al quale si tende sempre a parlare di ciò che abbiamo dentro, di ciò che occupa i nostri pensieri: “dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”. Siamo ciò che ci abita e da cui siamo abitati. Sempre.

Ora Gesù parla dell’occhio in termini elementari stante il fatto che doveva farsi capire dai suoi uditori, per poi lasciare a loro il compito di trovare gli opportuni riferimenti. Si può dire che qui venga esposta una parabola elementare, che però implica verità molto profonde; la vista serve per riconoscere, scegliere, valutare, percorrere. Vediamo un pericolo, una persona cara, ammiriamo un panorama, un ambiente; ci sentiamo attratti da una bella persona. L’occhio e l’orecchio è scritto che non si stancano mai di assolvere al loro compito ed è quello che ci ha testimoniato il re Salomone nel suo scritto che abbiamo citato la volta scorsa: “Mi sono procurato cantori e cantatrici insieme con molte donne, delizie degli uomini.(…) Non ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano”. Pare che sia la vista il senso che le persone temono di perdere più di qualunque altro e se pensiamo che ai tempi di Gesù problemi oggi risolvibili come la miopia o presbiopia costituivano un serio problema, possiamo capire quanto facile fosse stato comprendere le implicazioni di un “occhio semplice” o “cattivo” (“puro” o “viziato” secondo altre traduzioni). Pensiamo poi alla cataratta, al glaucoma, al fatto che esporre gli occhi al sole del deserto portava molti alla cecità poiché i danni che le radiazioni solari possono provocare alla rétina sono in gran parte irreversibili.

Fino a questo punto, tanto per quello che è stato scritto quanto per ciò che ha detto Gesù, sono state fatte osservazioni abbastanza ovvie, valide per tutti, uomini e animali perché, se si parla di sopravvivenza, la vista è indispensabile e la frase “Se un cieco guida un altro cieco, entrambi cadranno nella fossa” (Matteo 15.14) ci mostra un aspetto purtroppo indiscutibile delle dinamiche terrene. Luca però, nel riportare le parole oggetto di riflessione, aggiunge una frase importante, cioè “bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra. Se il tuo corpo è tutto luminoso senza avere alcuna parte nelle tenebre, tutto sarà luminoso come quando la lucerna ti illumina con il suo bagliore” (11.35,36).

Allora l’occhio sano, o puro, o luminoso a seconda delle traduzioni, non è riferito ad un organo che possiede dieci decimi. Allora, possiamo credere di essere nella luce e di vedere quando in realtà ci troviamo in una condizione opposta senza saperlo: “bada”, cioè “fai attenzione”, “cura”, “controlla”, “dedicati a”, non dare per scontato, stai attento perché ne va della tua vita perché, se ciascuno ha il suo tesoro, ciascuno ha la sua luce, ma una sola è quella che durerà in eterno, una sola è quella che ti può illuminare veramente.

E allora non possiamo che andare ad Adamo ed Eva, come già fatto altre volte perché tutto comincia da lì, in Genesi, che come sappiamo significa “origine”. La conseguenza dell’infrazione all’unico comandamento ricevuto fu “Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture” (3.7): non che prima non ci vedessero, ma l’apertura degli occhi significa che le loro frequenze ricettive si spostarono da quelle spirituali e perfette a quelle della carne. Si schiusero su realtà che prima non appartenevano loro. La nudità che vollero coprire non riguardò i loro organi genitali, ma la nudità spirituale, il loro essere indifesi a fronte della perdita della luce di Dio che li rivestiva. Provarono per la prima volta paura e quelle cinture di fico scoprirono subito che nulla potevano di fronte a quel sentimento di vergogna e paura che mai avevano provato fino ad allora. Se il fico avesse potuto proteggerli, Adamo non avrebbe detto “Ho avuto paura perché sono nudo e mi sono nascosto” (v.10), ma si sarebbe presentato liberamente a Lui come se nulla fosse. E questo ci parla del fatto che, per quanto possa fare, l’uomo non potrà mai essere accettato da Dio a meno che Lui stesso non lo chiami, non lo attiri a sé.

E così la creatura, responsabile del Giardino, che parlava con Lui senza che nessuna cosa si frapponesse tra loro, si sentì fuori posto, avvertì una distanza incommensurabile, non sapeva più come orientarsi: non vedeva come prima. Adamo aveva avuto tutto gratuitamente, non si sentiva nudo non perché ignorava di esserlo, ma perché tale non era, rivestito di santità e soprattutto di purezza a tal punto da formare un tutt’uno con l’ambiente in cui viveva e con suo progettista che, ricordiamo, si riposò il settimo giorno per contemplare il lavoro svolto. Ricordiamo le parole alla fine del sesto giorno: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona”. Questa fu la Sua valutazione.

Ci ritroviamo quindi con l’occhio di Adamo impossibilitato a vedere, dopo la caduta, tutto ciò che prima poteva distinguere perché permeato della scienza del suo Creatore. Privato di questo senso così come aveva in origine, l’uomo ha così dovuto adeguarsi: Adamo vide la terra che avrebbe dovuto lavorare, quel suolo che gli avrebbe prodotto “spine e tribolazioni”, Eva il figlio Abele ucciso ed entrambi assistettero impotenti al dipanarsi della storia umana: sarebbero venuti altri omicidi, prevaricazioni, guerre, lotte di potere senza un perché reale proprio in conseguenza di quegli occhi schiusi alla condizione di peccato senza possibilità di appello se non – per alcuni – nella fede in quella promessa secondo la quale il serpente avrebbe avuto schiacciata la testa dalla “progenie della donna”. Adamo infatti tramandò alla sua posterità il racconto della sua caduta e alcuni di loro, saputo il destino finale del serpente, posero la loro fede in quelle parole. Da quando l’uomo iniziò a vivere sulla terra corrotta, iniziò così a scegliere in quale luce vivere, cioè se nella propria, o mettersi a cercare quella di Dio implorando la Sua assistenza, rivelazione, orientamento. E abbiamo tutti gli scritti dell’Antico Patto che lo dimostrano, che ci parlano di scelte oculate e scellerate, di vista illuminata oppure ottenebrata, di convinzioni ostinate che vengono demolite al tempo opportuno e di orientamenti chiaramente riconducibili ad un’illuminazione dall’alto. Caso più eclatante è quello dell’asina di Balaam di Numeri 22.

La vista. Se non è sana, ti fa vedere il mondo in modo diverso, senza occhiali ci si orienta con fatica, senza di essa si dipende purtroppo dagli altri. Si è, come dice Gesù, “nelle tenebre” anche se vedremo che si tratta di un’espressione che comprende due significati.

Ma per la visione spirituale delle cose, così connessa al tesoro del cuore? I ciechi guariti da Gesù dovettero ammettere un problema oggettivo, ma l’uomo che vuole risolvere l’ostacolo di una vista spirituale difettosa, come quei miracolati nei Vangeli, deve ammettere di essere nella loro stessa condizione, per quanto su un piano diverso. È un problema comune a tutti gli uomini che però dev’essere riconosciuto e a far questo sono in pochi perché occorre un atto di profonda umiltà: bisogna riconoscere di non essere in grado di orientarsi oppure, secondo un altro aspetto comunque connesso a questo, di avere sete: “Chiunque ha sete, venga a me e beva. Chi crede in me, come dice la scrittura, «fiumi d’acqua viva usciranno dal suo seno»” (Giovanni 7.37.38). Non è un invito rivolto a tutti, ma solo a chi riconosce due cose: di aver sete e che solo in Cristo può trovare la soddisfazione di questo bisogno. Allo stesso modo, è capire che non possediamo la vista spirituale che può spingerci a chiedere aiuto.

Vedere implica un’interpretazione e il mondo visto da un daltonico non è lo stesso che vede  una persona che tale non è e così avviene per chi ha altre patologie, per quanto non gravi. Personalmente posso dire di essere affetto da un problema alla vista per cui ho bisogno di portare gli occhiali; pur conducendo una vita autonoma ed essendo in grado di fare tutto quello che fanno gli altri, l’oculista mi disse che poche persone sarebbero in grado di vivere come me, vedendo quello che vedo. Mi sono molto meravigliato perché, anche senza l’ausilio delle lenti, sono in grado di spostarmi nello spazio senza problemi; la sua risposta fu che se fossi stato in grado di vedere perfettamente, avrei capito le sue parole. Devo quindi dedurre che io credo di vedere, ma in realtà vedo poco, o comunque non come una persona sana anche se il mondo è come lo interpreta il mio cervello che si basa sui segnali che i miei nervi ottici gli trasmettono. Credo di vedere, mi baso su quello che ho ma, a quanto mi dice quel medico, sbaglio. Secondo le parole che abbiamo letto, quindi, basandomi sulla vista in senso tecnico e umano, il mio corpo non è “tutto illuminato”, ma lo è in parte.

Rapportando tutto questo alla vita spirituale, le capacità di orientamento nell’essere umano possono essere del tutto assenti, o funzionare parzialmente e dare una visione non corretta della realtà: ci sono ciechi che fingono di vedere e guidano altri ciechi, c’è chi vede poco e si comporta come se non avesse problemi e potremmo paragonarlo a chi guida un veicolo senza occhiali quando dovrebbe indossarli. Nell’uomo, stando alle parole di Gesù che abbiamo esaminato fin qui, occhi, mente e cuore sono collegati per cui in un certo senso costituiscono la base della persona. Da notare il termine usato per l’occhio: a quello “cattivo”, tradotto da altri con “difettoso”, corrisponde un corpo “tenebroso”, aggettivo che può riferirsi alla completa assenza di luce, ma anche all’assenza di chiarezza e verità, alla torbidità morale. Il corpo “tenebroso”è quindi ridotto alla percezione oscura delle cose. Allora si può individuare la connessione con Efesi 4.18 in cui l’apostolo Paolo parla dei pagani “…accecati nella loro mente, estranei alla vita di Dio a causa dell’ignoranza che è in loro e della durezza del loro cuore. Così, diventati insensibili, si sono abbandonati alla dissolutezza e, insaziabili, commettono ogni sorta d’impurità”.

Al contrario, l’intervento di Gesù nella vita della persona la trasforma e la rende in grado di vedere, come testimoniato da quei ciechi guariti in più occasioni nei Vangeli.

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