11.01 – LA TRADIZIONE DEGLI ANTICHI (Marco 7.1-6)

11.01 – La tradizione degli antichi (Marco 7.1-6)

 

1 Si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. 2Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate 3– i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi 4e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, 5quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
6Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. 7Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini.
8Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini»”.

 

È già stato ricordato il verso di Giovanni 7.1, “Dopo questi fatti, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo”, che possiamo senz’altro raccordare anche a quanto avvenuto a Gerusalemme con la guarigione dell’infermo a Betesda e alla discussione a lei seguita. È opinione generalmente condivisa che Nostro Signore, dopo quell’episodio, fosse tornato a Capernaum e  lì lo abbiano raggiunto “farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme”. Qui occorre domandarsi quali fossero le loro reali intenzioni: quando infatti leggiamo “cercavano di ucciderlo” non dobbiamo pensare a un progetto di eliminarlo tramite assassini prezzolati o alla messa in atto di uno stratagemma simile a quello ordito da Erode Antipa e i suoi complici, per Giovanni Battista, ma ad una decisione del Sinedrio che aveva stabilito che occorreva raccogliere il maggior numero possibile di elementi a carico Suo per poterlo accusare e condannare legalmente a morte. È anche probabile che quanto esposto da Gesù predicando o rispondendo alle domande di quegli inviati, “venuti da Gerusalemme”, finisse poi in rapporti accurati, stante la quantità di elementi che potevano raccogliere. Da qui in poi non si tratta più di dispute con i Dottori della Legge del posto, ma con i rappresentanti del potere politico-religioso.

Ora il nostro testo ci mostra chiaramente su cosa si basò la domanda degli inquirenti gerosolimitani, che avevano notato che “alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate”, in oltraggio alla “tradizione degli antichi” che si basava, essenzialmente, su quanto contenuto nella Misnah e nel Talmud, suddivisi al loro interno in sei argomenti principali (semenza, stagioni, donne, danni, cose sante e cose impure).  Vediamo brevemente i passi della Scrittura dalla quale partiva la “tradizione degli antichi”:

 

  1. I recipienti: “Fra gli animali che strisciano per terra riterrete impuro: la talpa, il topo e ogni specie di sauri, il toporagno, la lucertola, il geco, il ramarro, il camaleonte. Questi animali, fra quanti strisciano, saranno impuri per voi; chiunque li toccherà morti, sarà impuro fino alla sera. Ogni oggetto sul quale cadrà morto qualcuno di essi, sarà impuro: si tratti di un utensile di legno oppure di veste o pelle o sacco o qualunque atro oggetto di cui si faccia uso; si immergerà nell’acqua e sarà impuro fino a sera, poi sarà puro. Se ne cade qualcuno in un vaso di terra, quanto vi si troverà dentro sarà impuro e spezzerete il vaso. Ogni cibo che serve di nutrimento, sul quale cada quell’acqua, sarà impuro; ogni bevanda potabile, qualunque sia il vaso che la contiene, sarà impura. Ogni oggetto sul quale cadrà qualche parte del loro cadavere, sarà impuro; il forno o il fornello sarà spezzato: sono impuri e li dovete ritenere tali”. (Levitico 11.29-35);
  2. I cadaveri: “Chi avrà toccato il cadavere di qualsiasi persona, sarà impuro per sette giorni. Quando qualcuno si sarà purificato con quell’acqua – di purificazione – il terzo e il settimo giorno, sarà puro; ma se non si purifica il terzo e il settimo giorno, non sarà puro. Chiunque avrà toccato il cadavere di una persona che è morta e non si sarà purificato, avrà contaminato la Dimora del Signore e sarà eliminato da Israele. Siccome ‘acqua di purificazione non è stata spruzzata su di lui, egli è impuro; ha ancora addosso l’impurità”. (Numeri 19.11-13);
  3. La lebbra: Tutte le norme sulla lebbra sospetta o accertata dal sacerdote descritte nel capitolo 13 del libro del Levitico;
  4. Il corpo: “Chiunque sarà toccato da colui che ha la gonorrea, se questi non si era lavato le mani, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell’acqua e resterà impuro fino alla sera. Il recipiente di terracotta toccato da colui che soffre di gonorrea sarà spezzato, ogni vaso di legno sarà lavato nell’acqua” (Levitivo 15.11);
  5. I fluidi: Prescrizioni relative alla gonorrea, al liquido seminale, il flusso mestruale (Levitico 15)
  6. Le malattie: (ibidem).

 

Il problema per chi legge la Bibbia, tornando al nostro tema, è che non si trovano regole per lavarsi le mani. A questo aveva sopperito la Torah orale, come leggiamo nel Talmud, parola che significa “insegnamento”: “il Santo, che benedetto sia, dette a Israel due Toroth, quella scritta e quella orale. Gli dette la Torah scritta per provvederlo di comandamenti per cui potesse acquistare merito. Gli diede la Torah orale per mezzo della quale potesse distinguersi dalle altre nazioni. Questa non venne data per iscritto, affinché i cristiani non potessero fabbricarsela come fecero con la Toarh scritta, e di essere Israel” (Num. R. 14.10). Il rituale per lavarsi le mani era minuzioso: stabiliva quanta acqua utilizzare (86 cl) che non doveva essere impiegata per altri scopi, doveva essere versata dalla stessa persona, sulle dita non dovevano essere presenti anelli o oggetti vari, l’acqua doveva bagnare anche i gomiti e l’anfora che conteneva l’acqua doveva avere due manici al fine di lavarsi una mano senza che quella non “pura” ne toccasse uno contaminato dall’altra, impura. Mentre si faceva questo, occorreva pronunciare le parole “Benedetto colui che ci ha santificato con i suoi precetti e ci ha comandato l’abluzione delle mani”. Si può aggiungere che, per i Giudei, “la persona che disprezza il lavarsi le mani prima del pasto, dev’essere scomunicata” e la violazione di questo precetto era, come gravità, paragonato alla fornicazione con una prostituta (Rabbi Jose).

 

Notiamo allora la domanda che fu posta a Gesù, “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi?”: non chiamano in causa un passo profetico o una prescrizione della Legge di Mosè, ma la loro tradizione che, se ci pensiamo, infrangeva lei stessa un comandamento preciso che troviamo in Deuteronomio 4.2 “Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla, ma osserverete i comandamenti del Signore vostro Dio, che io vi prescrivo”. C’è poi tutta una serie di passi in cui il principio del non aggiungere viene ampliato, ad esempio in Proverbi 30.5-6 “La parola di Dio è affinata col fuoco. Egli è uno scudo per chi si confida in lui. Non aggiungere nulla alle sue parole, perché egli non ti rimproveri e tu sia trovato bugiardo”. Molti sottovalutano la gravità che contempla il termine, riferito all’opera dell’Avversario, “bugiardo e padre della menzogna” (Giovanni 8.44). “Bugiardo” ha come sinonimi “falso, ingannevole” e si raccorda, restando nei Proverbi, a 11.22 “Le labbra bugiarde sono un obbrobrio per il Signore: egli si compiace di chiunque fa la verità”. Labbra connesse alla mente che ordina loro cosa dire, ma che comunque esprimono “ciò che sovrabbonda nel cuore”.

A questo punto, per quanto nella prossima riflessione dovremo tener presente anche la narrazione di Matteo, Gesù cita un verso che conosciamo, di Isaia 29.13: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono il culto, insegnando dottrine che son precetti d’uomini”. Il testo, che Gesù riassume sapendo di venir compreso comunque, recita: “«Poiché questo popolo si avvicina a me solo con la bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani, perciò, eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo, perirà la sapienza dei suoi sapienti e si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti. Guai a coloro che vogliono sottrarsi alla vista del Signore per dissimulare i loro piani, a coloro che agiscono nelle tenebre dicendo: «Chi ci vede? Chi ci conosce?»” (29.13-15).

Quindi abbiamo un popolo che si accosta “solo con la bocca” cioè solamente per  parlare, e “mi onora con le sue labbra”, evidentemente bugiarde nel profondo, nell’essenza, quasi che con Dio si possa barare. In realtà si inganna se stessi. Ancora una volta abbiamo la religione, appagante il sentimentalismo superficiale e lontano dalle esigenze del vero Dio a tal punto da impedirgli di agire per l’individuo che così si comporta. Il problema è notevole, perché a un’azione teoricamente positiva, quella di accostarsi a Lui, ne seguono due negative a lei strettamente connesse e, ancora una volta, è il mentire la radice del problema: sperando di ingannare Dio, si fa così con se stessi perché “il cuore è lontano”, cioè si trova a grande distanza, è separato da un lungo intervallo nello spazio. “Lontano da Dio” stabilisce la posizione di chi si comporta in quel modo, dovuta a un inquinamento volontario di pensiero, di voler stabilire di propria iniziativa come rivolgersi a Lui. Non voglio ripetere i concetti già espressi sulla religione, ma qui il dettaglio di Isaia è importante: “La venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani”, cioè qui è l’uomo che si crea un Dio su misura che tiene alla larga quello vero. Ai Colossesi viene scritto “…son tutte cose destinate a scomparire con l’uso, prescrizioni e insegnamenti di uomini, che hanno una parvenza di sapienza con la loro falsa religiosità e umiltà e mortificazione del corpo, ma in realtà non hanno alcun valore se non quello di soddisfare la carne” (2. 22,23).

Sta allora all’intelligenza umana, illuminata dallo Spirito, chiedersi se si è veramente alla ricerca di Dio, o lo si abbia trovato davvero, oppure se la professione di “fede” non sia altro che l’aderenza a un sistema umano travestito che non vada oltre alle realtà descritte dall’Apostolo Paolo nella sua lettera ai Colossesi. E questa è una nota per tutti a prescindere dalla denominazione cristiana alla quale si appartiene, perché il rischio di stabilire un rito o un sistema che prima intraveda l’apparenza e poi la cristallizzi c’è sempre. Ci si riunisce perché si ama il Signore e lo si vuole in mezzo a noi, non perché “si deve fare e si è sempre fatto”.

Nel passo di Isaia è però bello considerare che, nonostante questi aspetti così negativi e penalizzanti, Iddio non lascia solo il suo popolo e interverrà, al futuro per i tempi di questo profeta, ma al presente per quelli di Gesù e per noi, per far “perire la sapienza” (presunta) e ad “eclissare l’intelligenza dei sapienti”. E nei piani di quelli che “agiscono nelle tenebre dicendo: «Chi ci vede? Chi ci conosce?»” è facile distinguere proprio quei “venuti da Gerusalemme” che qui parlano con Figlio di Dio con la speranza di poterlo accusare.

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