13.21 – IL GRAN CONVITO I (Luca 14.15-24)

13.21 – Il gran convito I (Luca 14.15-24)   

 

15Uno dei commensali, avendo udito questo, gli disse: «Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!». 16Gli rispose: «Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. 17All’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: «Venite, è pronto». 18Ma tutti, uno dopo l’altro, cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: «Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi». 19Un altro disse: «Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi». 20Un altro disse: «Mi sono appena sposato e perciò non posso venire». 21Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al suo padrone. Allora il padrone di casa, adirato, disse al servo: «Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui i poveri, gli storpi, i ciechi e gli zoppi». 22Il servo disse: «Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c’è ancora posto». 23Il padrone allora disse al servo: «Esci per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, perché la mia casa si riempia. 24Perché io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena»».

 

            Prima di esaminare il nostro passo, di immediata comprensione ma al tempo stesso impegnativo, occorre ricordare quanto avvenuto pochi attimi prima, cioè Gesù che disse a colui che l’aveva invitato “Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti” (vv. 12-14).

È quindi lecito pensare che a queste parole seguirono momenti di grande imbarazzo e “uno dei commensali”, quindi un altro fariseo, per alleviare la tensione, fece un collegamento tra quel convito e le parole di Gesù sulla “resurrezione dei giusti” dicendo “Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!”. È questo un punto delicato da interpretare, ma non credo che quell’intervento fosse dettato da ragioni spirituali; piuttosto fu la conoscenza religiosa di quel fariseo che parlò, buttando lì un principio nel tentativo di cambiare argomento; non credo si riferisse a Isaia 25.6-8 relativo al banchetto celeste dei tempi a venire: “Preparerà il Signore degli eserciti – celesti – per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre – di ignoranza – distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre”.  È proprio questo passo che, pur non citato, viene sviluppato da Gesù, prendendo spunto dalla frase che l’ignoto pronunciò nel tentativo di alleggerire la tensione che si era venuta a creare.

La parabola del convito è riportata, con più dettagli, anche da Matteo 22, ma verrà affrontata separatamente stante la sua indipendenza da quella che stiamo esaminando: qui abbiamo “un uomo”, in Matteo “un re”, ma è evidente che, mentre nel nostro caso Gesù espone un concetto basilare, nell’altra occasione lo approfondirà con più dettagli perché erano differenti le circostanze e l’uditorio.

Bene, l’uomo della nostra parabola “diede una gran cena”: non ci è detto il motivo, ma il racconto, per come si sviluppa, è incentrato (anche) sulla volontà di questa persona di offrirla e soprattutto che questa veda la partecipazione di molti. È anche chiaro che vi sia una preferenza, perché i “molti” che quell’uomo invita rientrano in una categoria di persone precisa, quelli che lo conoscevano, avevano un rapporto con lui e viceversa.

È facile riconoscere in questi il popolo di Israele, quello eletto da Dio ad essere suo; ciò lo vediamo non solo quando fu liberato dalla schiavitù d’Egitto (ricordiamo le parole “Lascia andare il mio popolo perché mi serva” in Esodo), ma anche da molto prima, con Abramo di cui abbiamo dedicato diverse riflessioni. Anche da Abramo comunque possiamo andare a ritroso, con Noè e prima ancora a Set, il cui nome significa “Sostituto”, figlio di Adamo che segnò un punto di partenza spirituale perché in Genesi 4.26 leggiamo “Anche a Set nacque un figlio, che chiamò Enos. A quel tempo si cominciò a invocare il nome del Signore”.

Anche da qui, però, possiamo retrocedere nel tempo e arrivare ad Abele, che nella sua coscienza sapeva che il Creatore andava onorato e ringraziato per i doni che gli arrivavano. Da lui risaliamo ad Adamo, “che fu di Dio” (Luca 3.38), e da Adamo a YHWH stesso, progettista e creatore non solo dell’universo e dell’uomo, ma anche del piano di salvezza che si sarebbe dovuto sviluppare dopo la caduta sotto la prospettiva del recupero non di Eden, ma della vita di comunione con l’uomo da Lui voluta. Ecco chi è/sono, a parte ciò che già sappiamo come credenti e lettori del Vangelo, “l’uomo” e gli invitati, discendenti naturali di quei grandi uomini di Dio grazie anche ai quali possiamo esistere spiritualmente.

La “grande cena” è proprio quella in vista dei “nuovi cieli e nuova terra dove dimora stabile la giustizia”, la dimora eterna di Dio con l’uomo, impossibile da raggiungere senza invito né il vestito dato a ciascuno, ma ancora di più senza conoscere chi è il suo autore e ideatore. Ecco quindi che le parole “fece molti inviti” si riferiscono alle innumerevoli manifestazioni d’amore rivolte al Suo popolo tanto con miracoli che con i Suoi messaggi che i profeti provvedevano a trasmettere. I “molti inviti” si possono intravedere nelle parole del Salmo 68 di Davide, vv.6-11: “O Dio, quando uscivi davanti al tuo popolo, quando camminavi per il deserto, tremò la terra, i cieli stillarono davanti a Dio, quello del Sinai, davanti a Dio, il Dio d’Israele. Pioggia abbondante hai riversato, o Dio, la tua esausta eredità tu hai consolidato e in essa ha abitato il tuo popolo, in quella che, nella tua bontà, hai reso sicura per il povero”.

Ora, negli antichi scritti abbiamo la testimonianza che l’essere resi partecipi della sapienza – figura del Figlio la cui accettazione sarà fonte di doni spirituali – equivale all’accettazione di un invito tutto particolare: “La sapienza si è costruita la sua casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino e ha imbandito la sua tavola. Ha mandato le sue ancelle a proclamare sui punti più alti della città: «Chi è inesperto venga qui!». A chi è privo di senno elle dice: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che ho preparato. Abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza» (Proverbi 9.1-6).

Infine Isaia 55.1-3 che ogni tanto ricordiamo: “O voi tutti assetati, venite alle acque, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete”.

Arriviamo così al nostro verso 17, “all’ora della cena”, quindi quanto è tutto pronto. E qui vediamo i tempi di Dio, che non sono i nostri, ma che ci dicono che tutto è ormai apparecchiato, i cibi stanno finendo di cuocere e stanno per essere serviti. Stante l’imminenza della cosa, ecco che “mandò il suo servo a dire agli invitati: «Venite, è pronto!»”: notiamo l’articolo determinativo, “il”, quindi Colui che, per dignità e grado, poteva rappresentarlo, quindi “il Servo del Signore”, quello da Lui sostenuto, che rende l’annuncio del Regno di Dio e su come entrarvi in modo assolutamente perfetto al punto da dire, sulla croce, “tutto è compiuto”, ultima frase pronunciata quando era in vita, umanamente, con il corpo. Ciò secondo Giovanni 19.30.

Non sottovalutiamo il fatto che quel “servo” avrebbe dovuto presentarsi come inequivocabilmente inviato dall’organizzatore del convito perché non fosse confuso con altri e così fu per Gesù che infatti, come Servo ad annunciare che ogni cosa era pronta, arrivò proprio in un momento particolare della storia umana, come scrive l’autore della lettera agli ebrei con versi che ogni tanto amo riportare: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi ha parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante al quale ha fatto anche il mondo” (1.1,2).

Possiamo ricordare anche le parole di Giovanni Battista, che esortava i suoi uditori a ravvedersi perché “il Regno dei cieli è vicino”, ma quello che non si può fare a meno di sottolineare nella parabola è che gli invitati erano informati, sapevano che prima o poi vi sarebbe stata una cena per cui non potevano avere scuse nel rifiutare l’invito. Perché lo sapevano? Perché tutta la Parola loro data, a partire da Mosè, ma anche molto prima, lasciava intendere che il progetto di Dio per il Suo popolo sarebbe giunto un giorno a perfetto compimento.

Tutto lascia intendere, nella parabola, che l’ideatore del convito fosse stata una persona importante, vuoi per dignità e rango, vuoi per la relazione che intercorreva con gli invitati. E infatti la scortesia del rifiuto sembra cogliere quell’uomo di sorpresa e, guardando alle risposte che vengono date, possiamo osservare due cose: la prima è che gli argomenti che adducono per evitare il convito sono di natura esclusivamente egoistica: uno ha “comprato un campo” e deve andare a vederlo, l’altro ha comprato “cinque paia di buoi” e deve andare a provarli, un altro ancora “si è appena sposato”. I primi due, poi, dicono “Ti prego di scusarmi” così, confidenzialmente, quasi a sottintendere che la prossima volta avrebbero accettato stante l’impegno improvviso cui non potevano sottrarsi, ritenendo evidentemente campo e buoi più importanti della relazione con l’autore dell’invito.

Notiamo che, per i primi due personaggi, l’interesse personale viene prima di tutto: il “campo” e i “buoi”hanno riferimento con il denaro e le “cose di questo mondo” in genere, da sempre ostacolo forte, violento per la Parola di Dio: “Quando abbiamo di che mangiare e di che coprirci, accontentiamoci. Quelli invece che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell’inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione. L’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti” (1 Timoteo 6.9.10).

L’interesse è quindi ciò che impedisce ai primi due invitati di accettare quanto il servo, inviato a dichiarare aperto il convito, proponeva loro.

Il terzo, invece, che non si scusa neppure a differenza dei precedenti, si trincera dietro un –in questo caso- cavillo legale, poiché sappiamo che la Legge, in Deuteronomio 24.5, esentava l’uomo dalla guerra o altri incarichi perché “…sarà libero per un anno di badare alla sua casa e farà lieta la moglie che ha sposato”, ma in questo caso l’appellarsi al verso citato era chiaramente pretestuoso perché, semplicemente, quell’uomo desiderava starsene tranquillamente in casa propria usando – attenzione – la Legge come giustificazione del rifiuto, cosa che sappiamo fecero molti farisei, scribi e dottori. Dei tre, è l’unico che non si scusa, convinto che la norma citata sia sufficiente.

Credo non sbagli neppure chi ha visto, in quest’ultimo rifiuto, il terzo livello di ostacoli nella parabola dei terreni, quello dei rovi in Matteo 13.22: “Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma le sollecitudini di questo modo, l’inganno delle ricchezze e i piaceri di questa vita soffocano la parola ed essa non dà frutto”.

Comunque sia, questi tre personaggi che rappresentano i “molti” invitati, hanno tutti di meglio da fare che non partecipare al convito organizzato da quell’ “uomo” che, a differenza di quelli, lo offriva liberamente e nel loro interesse. Esiste una chiara sproporzione, una distanza enorme fra le parti: uno desidera condividere e, pur di avere la mensa piena, inviterà persone che con lui non avevano nulla a che fare; gli altri si vedono bastanti a se stessi, hanno le loro cose, i loro interessi, danno per scontato che l’invito rifiutato sarebbe giunto un’altra volta, quando avrebbero avuto tempo. E ancora di più oggi sono tanti quelli che reputano il tempo come qualcosa che appartenga loro e di cui possano disporre liberamente.

Giungiamo così alla fine di queste riflessioni, con la prima parte del verso 21: “Al suo ritorno, il servo riferì tutto questo al suo padrone”. Ora credo che qui, fra i tanti, abbiamo fondamentalmente due insegnamenti, il primo dei quali è non ancorarsi sempre e necessariamente alla letteralità del testo, perché sembrerebbe che Gesù venga inviato altre due volte sulla terra ad annunciare il convito, cosa chiaramente impossibile. Piuttosto – secondo insegnamento – il suo “riferire tutto al padrone”, tradotto più correttamente come “signore”, ha connessione con le innumerevoli volte in cui pregò il Padre rapportandogli e discutendo con Lui di tutto, in particolar modo sul cosa, come e dove agire. E sappiamo che un giorno disse “Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che lo farà fruttificare” (Matteo 21.43).

Abbiamo poi altri stimoli di riflessione offertici anche dal fatto che, come Gesù pregava il Padre rapportandogli ogni cosa, lo stesso facevano i discepoli con lui, in particolare al ritorno della loro missione quando leggiamo “Tornati dal loro giro, gli apostoli riferirono a Gesù tutto quello che avevano fatto” (Luca 9.10). Da qui il fatto che la preghiera non è, come purtroppo molti fanno, un elenco di ciò che ci necessita, ma soprattutto un esame, un rapportare quanto da noi operato per avere consigli, indirizzi, trovare soluzioni a problemi che devono essere soprattutto personali, per come affrontare dignitosamente il giorno, per correggere quei difetti e mancanze che sappiamo benissimo di avere e che possono rallentarci nella nostra vita cristiana.

Pregare, allora, non è facile perché prima bisogna essere di un’onestà assoluta prima con noi stessi perché chi ci ascolta non si può ingannare. E infatti, è scritto “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia – due cose –  e le altre cose vi saranno date in aggiunta” (Matteo 6.19). Amen.

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