13.17 – LA DONNA INFERMA (Luca 13.10-17)

13.17 – La donna inferma (Luca 13.10-17)

 

10Stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. 11C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta. 12Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». 13Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.14Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato». 15Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? 16E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?». 17Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

 

            Con questo episodio ci troviamo di fronte al sesto miracolo dei sette operati da Gesù in giorno di sabato. Ricordiamo

  1. L’indemoniato nella Sinagoga di Capernaum (Luca 4.31-37);
  2. La suocera di Pietro (38-41);
  3. L’uomo dalla mano rattrappita (Luca 6.6-11);
  4. Il paralitico di Betesda (Giovanni 5.9-18);
  5. Il cieco nato (Giovanni 9);
  6. La donna inferma;
  7. L’uomo idropico (Luca 14.1-6).

Nulla sappiamo del villaggio in cui avvenne questo miracolo se non che l’itinerario di Nostro Signore prevedeva come destinazione finale Gerusalemme, il suo penultimo poiché, qualche verso più avanti in questo stesso capitolo, leggiamo che “Passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme”(22).

Gli argomenti su cui soffermare la nostra attenzione sono tanti a partire dal fatto che Gesù vede la donna inferma soltanto mentre parlava, o alla fine del suo discorso. Certo sapeva che l’avrebbe incontrata e guarita anche prima di entrare nella Sinagoga, essendo il Dio Onnisciente.

Altro elemento importante, così come avvenuto col paralitico di Betesda, malato da 38 anni, è appunto la durata della malattia che Luca quantifica in 18 anni, numero che ci parla prima di tutto del dominio e della potenza distruttrice del peccato sull’uomo, essendo agevole vedere nel 18 il risultato di un 6+6+6. Diciotto è un numero che ci parla di dipendenza, subordinazione e schiavitù, come da Giudici 3.14 che quantifica in questi anni la durata della schiavitù degli israeliti a Eglon, re di Moab. Poi abbiamo il giudizio, sempre su di loro, relativo al fatto che “Gli israeliti continuarono a fare ciò che è male agli occhi del Signore e servirono i Baal, le Astarti, gli dei di Aram, gli dèi di Sidone, gli dèi di Moab, gli dèi degli Ammoniti e quelli dei Filistei, abbandonarono il Signore e non lo servirono più. L’ira del Signore si accese contro Israele e gli consegnò nelle mani dei Filistei e degli Ammoniti. Questi afflissero e oppressero per diciotto anni gli Israeliti e tutti i figli di Israele che erano oltre il Giordano, nella terra degli Amorrei in Galaad”(Giudici 10.6-8).

Diciotto sono gli anni che ebbe Ioachin quando iniziò a regnare su Gerusalemme, ma di lui è scritto che “fece ciò che è male agli occhi del Signore”(2 Re 24.8) e fu solo per tre anni perché Nabucodonosor poi lo deportò a Babilonia: “Deportò tutta  Gerusalemme, cioè tutti i comandanti, tutti i combattenti, in numero di diecimila esuli, tutti i falegnami e i fabbri; non rimase che la gente povera della terra”(v.14). Possiamo ricordare anche le diciotto mogli (e sessanta concubine) di Roboamo, che “Quando il regno fu consolidato ed egli si sentì forte, abbandonò la legge del Signore e tutto Israele lo seguì”(2 Cronache 11.21 e 12.1). Nel Vangelo, infine, abbiamo letto delle “diciotto persone sulle quali crollò la torre di Siloe”(Luca 13,4).

Ecco allora cosa si cela dietro gli anni d’infermità di quella donna che, nella Sinagoga di un villaggio innominato, ascoltava le spiegazioni di Gesù su un passo della Scrittura che Luca non ha specificato.

Abbiamo poi la descrizione dell’innominata che si caratterizza attraverso due situazioni la prima delle quali è che “uno spirito la teneva inferma”e  poi “era curva e non riusciva in alcun modo a stare dritta”(v.11). E qui risiede l’importanza della situazione perché il testo non parla di una persona indemoniata che aveva manifestazioni di squilibrio mentale (infatti non sarebbe stata ammessa all’assemblea), ma del vero motivo della sua infermità: era “uno spirito”, in questo caso una forza ostile facente comunque capo all’Avversario, ricordiamo le parole “Questa figlia di Abrahamo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni”(v.16).

 

La malattia, dal raffreddore alle metastasi, è sempre il frutto del peccato inteso non come qualcosa di specifico, ma della condizione di errore che abbiamo ereditato. Quando i nostri progenitori infransero l’unico comandamento ricevuto, infatti, scoprirono di essere nudi, quindi senza difese in assoluto, anche dagli agenti patogeni che si sarebbero manifestati in futuro. Le malattie, a prescindere dalla loro curabilità, e la morte sono allora gli effetti naturali, la conseguenza di questa infrazione originaria e non di uno spirito che debba per forza manifestarsi sempre e comunque.

Nonostante abbiamo un corpo soggetto ad ammalarsi anche a seguito di un sistema immunitario non sempre efficiente, ciò non toglie che l’uomo possa essere bersaglio di infermità che l’Avversario può gestire, come insegna il libro di Giobbe.

La domanda allora non è se tutte le malattie incurabili siano causate da uno spirito d’infermità né, come abbiamo letto nel Vangelo, cosa possa avere fatto una persona per caderne vittima, ma piuttosto va tenuto presente che ci sono dei casi in cui questo spirito negativo agisce. Il mutismo, la sordità, la cecità o altre gravi patologie possono avere indubbiamente una genesi traumatica, genetica o meccanica, ma la Scrittura ci dice che, in alcuni casi, potrebbero essere causati da una forza negativa attribuibile a Satana che, nel caso della donna del nostro episodio, agiva sui muscoli e le vertebre. E solo lo Spirito Santo può essere in grado di distinguere se le condizioni in cui versa la persona siano dovute a cause squisitamente mediche oppure il motivo dell’infermità sia un altro. Affermare che ogni malattia, anche specifica, sia dovuta ad uno spirito del male, vuol dire banalizzare una verità scritturale e abbracciare così la superstizione e l’incoscienza. In altri termini, se a quei tempi fossero esistite le radiografie, le RMN o le TAC, si sarebbe potuto constatare una condizione del corpo identica a quella che potrebbe avere oggi una persona nelle stesse condizioni, con la differenza che in quel caso, ad agire, era uno spirito impuro che aveva preso possesso di un corpo e, se gli fossero state somministrate le cure di cui possiamo disporre oggi, non avrebbero dato alcun risultato..

La donna guarita da Gesù è figura di tutti coloro che, vivendo senza Cristo nella loro vita, sono incapaci di muoversi dignitosamente a prescindere che siano più o meno sani. Al di là del paralitico, bloccato in ogni movimento o quasi, questa poteva spostarsi, camminare, ma guardando costantemente verso il basso. La visione dell’azzurro le era preclusa. Ecco allora che il significato di questa guarigione è enorme proprio perché ha riferimento col fatto che veramente Cristo Gesù libera non solo dalle infermità gravi, totalmente invalidanti, ma anche quelle che penalizzano in modo “parziale”, tra virgolette perché la sofferenza di quella donna era grande a prescindere.

Il significato di questa guarigione è da ricercare nella costrizione a guardare verso il basso, la terra e nient’altro, come qualunque uomo o donna non liberato/a.

Il testo ci dice che “Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia»”: prendere atto della condizione in cui versava quella persona era cosa che facevano tutti, ma solo Lui la chiama a sé, cioè la invita. Se lei non Lo avesse ascoltato, non avremmo avuto la guarigione. Anche qui, il tutto avviene per iniziativa di Nostro Signore ed è il terzo miracolo in tal senso dopo il figlio della vedova a Nain e il paralitico a Betesda, personaggi per i quali Gesù provò una compassione tutta particolare dovuta al suo leggere le persone andando oltre la sofferenza che provavano per la malattia (e il dolore, per la vedova).

Anche qui degna di sottolineatura è la reazione dell’inferma che, una volta raddrizzata “glorificava Dio”, frase sulla quale ci siamo già soffermati in un altro episodio, ma è bello ribadire come attribuì a Lui, e al Figlio Tramite del Padre, la guarigione. Lei, in quanto “figlia di Abrahamo”, quindi della promessa lui fattagli da Dio, doveva essere “liberata da questo legame”che non aveva scelto e per il quale, forse, aveva smesso di pregare ritenendolo non risolvibile nell’attesa che venisse guarita con modi e in un momento che non si sarebbe mai aspettata.

Il tema dell’episodio è quindi quello dell’incontro con Gesù, purtroppo oggi sempre più raro perché ciò che viene predicato è in gran parte un cristianesimo “sociale”, una religione che fa a gara con quelle umane per attrarre uomini e donne “di buona volontà”, tutti pronti ad apparire sempre, ma mai a guardarsi dentro, a rinnovarsi. In altre parole, viene bandita la fede, quella che contraddistingue il cristianesimo dalle credenze delle religioni e non a caso è scritto “Senza fede è impossibile piacergli” (Ebrei 11.6). “Senza fede”, non “apparenza”.

Papa Ratzinger ebbe a scrivere importanti parole al riguardo, e cioè che la parola “credo” indica “conversione”, “cambiamento di mentalità”, “svolta dell’essere” e così permette agli uomini di condurre una vita “veramente umana”, quella che per quanto mi riguarda oggi è del tutto assente da una società sempre più propensa al precipitare, al collassare all’interno di se stessa. La fede mai è semplicemente una raccolta di dottrine, formule aride e datate da difendere con ostinazione – e qui vediamo la reazione del capo della Sinagoga – perché altrimenti sarebbe senza vita.

E l’incontro di Gesù con la donna inferma rappresenta proprio questo, l’incontro fra il vecchio e il nuovo, fra la religione che tutto vorrebbe stigmatizzare, regolare, rinchiudere in una pratica o un rito, e la libertà, l’eternità, l’immenso. E tutto ciò, quando si verifica, accade con una semplicità disarmante perché – cito sempre Ratzinger – “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”. Credo sia per questo che vi sia stata la lode, da parte di quella donna ma non dell’arcisinagogo, al Dio Vivente e Vero. Quel miracolo, infatti, ha riferimenti he vanno ben oltre alla terribile malattia in atto da diciotto anni.

Dopo aver letto la replica di Gesù sulla questione del sabato, abbiamo un’altra testimonianza della Parola che libera: gli avversari di Gesù infatti “si vergognavano”– anche se la traduzione corretta sarebbe “furono confusi”–, ma la folla, tanto disprezzata dagli scribi e farisei, “esultava per tutte le meraviglie da lui compiute”.

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