13.19 – LA PARABOLA DEI PRIMI POSTI (Luca 14.7-11)

13.19 – La parabola dei primi posti (Luca 14.7-11)        

 

7Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: «Cedigli il posto!». Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: «Amico, vieni più avanti!». Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».

 

            Nella precedente riflessione avevamo dedotto che Nostro Signore fosse arrivato con anticipo al pranzo proprio dal particolare espresso al verso settimo, “notando come sceglievano i primi posti”. Abituati a partecipare più o meno occasionalmente a pranzi o a cene di conoscenti più o meno cari, viene istintivo pensare a uno o più tavoli imbanditi con sedie, ma ai tempi e nei territori di Gesù non era così: si stava sdraiati sui triclinii, praticamente dei letti, che contemplavano la possibilità di avere tre posti – ecco la ragione del suffisso “tri” – il cui centrale era quello ritenuto più onorevole. Inoltre, tanto più il triclinio era vicino a quello del padrone di casa, tanto più il posto suscitava l’ambizione dei partecipanti, come osservò Gesù stesso in Matteo 22.6 quando, parlando dei farisei, disse “Si compiacciono nei posti d’onore nei banchetti”. I triclinii erano poi disposti attorno a una tavola centrale sulla quale trovavano posto i cibi e le bevande.

Ebbene, Gesù assisté alla corsa ai “primi posti” da parte di persone attratte dal fatto di sedere a fianco di chi li aveva invitati, illudendosi così di avere un posto importante in quell’occasione, senza pensare che quel capo fariseo non avrebbe consentito a uno qualsiasi di sedere accanto a lui. Di qui l’intervento di Nostro Signore, non certo teso a insegnare le buone maniere sul prender posto a tavola.

E il primo tema che viene trattato è il desiderio di primeggiare, presente da sempre nell’essere umano, in un modo o in un altro. È qualcosa che non ha nulla a vedere con chi ha posizioni di prestigio guadagnate per capacità e meriti – fatto ai nostri giorni sempre più raro –  ma che coinvolge coloro che, senza alcuna qualità, hanno raggiunto posti di riguardo grazie ad artifizi, sotterfugi, raccomandazioni. Qualora ciò accada – e purtroppo soprattutto nella nostra società è la regola –, quando si crea uno squilibrio tra i verbi “volere”, “potere” ed “essere”, il risultato non può essere che devastante.

Il primo insegnamento sulla parabola, allora, si può dire che riguardi l’ambizione, la stessa che avevano tutti quegli scribi e farisei – ad esempio – che non solo, come ricordato poco prima, si compiacevano “nei posti d’onore nei banchetti”, ma amavano farsi vedere pregare dalla gente o a tutti i costi farsi notare quando facevano l’elemosina, esempi proposti da Gesù nel Sermone sul Monte. Proprio in quell’occasione abbiamo l’invito a fare l’esatto contrario perché “Il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà ricompensa”.

Anche nella Chiesa abbiamo chi ambisce a posizioni di prestigio per pura vanità personale, senza interrogarsi se il ministero lo ha avuto da Dio come dono oppure se è un abito che si è cucito addosso, se ha ricevuto davvero dei talenti della cui gestione dovrà rendere conto, oppure è un “semplice” figlio di Dio, salvato per grazia, la cui presenza è importante nei radunamenti di Chiesa e per il quale comunque il Signore ha riservato altri compiti, dove con “altri” non s’intende meno onorevoli. Si tratta, è bene ricordarlo, di quel servitore cui è stata data la gestione di un talento, quindi qualcosa di ben di più di un nulla, da far fruttare esattamente come gli altri suoi colleghi che ne avevano avuti di più. Concettualmente, di base quindi, non ci può essere un credente superiore ad altri perché tutti sono comunque dei peccatori perdonati.

Tornando all’episodio, la ricerca dei primi posti in quel convito denotava la vanità e l’orgoglio dei partecipanti che agivano così senza pensare minimamente alla relazione che avevano col padrone di casa, che avrebbe gradito o meno la vicinanza dei suoi commensali. Entrambi questi sentimenti fanno parte dell’uomo naturale, esistono in maniera più o meno accentuata in base al suo carattere, ma sono alla radice del male; ricordiamo infatti Salmo 10.4 “Nel suo orgoglio il malvagio disprezza il Signore: «Dio non ne chiede conto, non esiste!»; questo è tutto il suo pensiero”. “Tutto” nel senso che, a prescindere da quanto possa fare e dire, la base è quella, priva da qualsiasi originalità e, partendo da essa, non può che proporre argomenti e temi che si riciclano da sempre, situazione che ha fatto scrivere a Salomone “Quel che è stato sarà e quel che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole”(Qoelet 1.9,10). Ricordiamo invece Salmo 19.4 “Anche dall’orgoglio salva il tuo servo perché su di me non abbia potere: allora sarò irreprensibile, sarò puro da grave peccato”.

Ricordiamo poi le censure più o meno velate espresse da Gesù in proposito al voler trasporre il metodo umano alle realtà spirituali ad esempio quando i dodici “discutevano tra loro su chi fosse il più grande”ottenendo da Lui una descrizione esattamente contraria alla visione umana di un “capo” (Luca 9.46), o più ancora, in un episodio che incontreremo, quando Salome, madre di Giacomo e Giovanni, Gli chiese che i suoi figli, nel Regno, potessero sedere l’uno alla Sua destra e l’altro alla Sua sinistra (Matteo 20.21). La risposta di Nostro signore fu “… sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato”(v.23).

E qui allora ci raccordiamo al nostro episodio, dove credo emerga in primo luogo la delicatezza di Gesù che, ai presenti, parla in modo tale da non urtarne la suscettibilità prendendo come esempio un convito nuziale, quindi esponendo una breve parabola. Occorre fare attenzione perché la parabola non è volta ad illustrare il convito nel Regno di Dio – compito che verrà svolto da altre –, ma della necessità dell’umiltà come metodo: chi viene invitato a nozze e sceglie un posto di riguardo senza che gli sia stato indicato, può incorrere nel rischio di magre figure una volta che, giunto qualcuno più importante di lui, costringa chi ha fatto l’invito a entrambi a dire all’usurpatore “Cedigli il posto!”. Infatti “L’orgoglio dell’uomo ne provoca l’umiliazione, l’umile di cuore ottiene onore”(Proverbi 29.23), lo raccordiamo alle parole “dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto”(v.11) non come castigo ma perché, mentre l’usurpatore se ne stava seduto compiacendosi della posizione che aveva conquistato, altri più accorti di lui avevano occupato tutti gli altri spazi.

A questo punto possiamo vedere che lo stesso “ultimo posto”causa di umiliazione per l’orgoglioso, torna invece ad onore per chi lo avrà scelto di sua volontà vuoi per umiltà, prudenza o delicatezza nei confronti di chi lo ha invitato: “Va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene chi ti ha invitato ti dica: «Amico, vieni più avanti!». Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali”(v.10).

Certo, con queste parole Gesù non intende fare scuola di bon ton ai presenti, che tra l’altro di questo mancavano vistosamente, ma dare loro una traccia per considerare quanto fosse distante quel comportamento dal metodo di ogni vero credente anche del loro tempo, perché “il timore di Dio è scuola di sapienza, prima della gloria c’è l’umiltà”(Proverbi 15.33 ribadito in 18.12 con la premessa “Prima della caduta il cuore dell’uomo s’innalza”) e infine, strettamente raccordato alla contingenza del momento, “Non darti arie davanti al re e non metterti al posto dei grandi, perché è meglio sentirsi dire: «Sali quassù!» piuttosto che essere umiliato davanti a uno più importante” (25.6.7). Ricordiamo che si tratta di versi che gli invitati al convito di quel fariseo dovevano conoscere e probabilmente conoscevano, ma che la religiosità aveva impedito loro di assimilare.

Quindi, se in un’occasione sotto certi aspetti banale come un convito nuziale, vale l’umiltà, quanto più andrà attuata nell’ambito del servizio nella Chiesa dove Gesù, a parte le raccomandazioni e le risposte date ai dodici dietro loro richiesta, proprio dopo l’episodio di Salome e della sua richiesta inopportuna, disse “Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra di voi, sarà il vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”(Matteo 20.25-28).

Si noti che con queste parole Gesù tronca sul nascere qualsiasi velleità nel senso che “chi vuole diventare grande”nella Chiesa o vuole essere “il primo”è chiamato a fare qualcosa che certamente non farà mai, farsi servitore e addirittura schiavo, posizioni incompatibili con chi è orgoglioso. Ricordo che quando da bambino leggevo il Vangelo ero molto attratto da come veniva esaltata l’umiltà a dispetto del mondo che mi circondava, certo piccolo, ma popolato da parenti che mi esortavano ad essere ambizioso e si stupivano quando mi sentivano dire che preferivo essere umile, il che non significa farsi calpestare, ma lasciare che fossero altri a seguire sentieri che alla fine li avrebbero umiliati.

Il commento finale di Nostro Signore alla sua breve parabola è lapidario, “perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”(v.11), frase importantissima non solo perché fa da ponte con un’altra parabola che verrà esposta di lì a poco, ma perché conclude in poche parole, nel nostro caso dodici, la fine di tutta l’esistenza della persona indipendentemente dal fatto che creda oppure no. Ha scritto un fratello che c’è nel cuore umano una tendenza naturale ad umiliare l’uomo arrogante e presuntuoso, ma non si trova la tendenza corrispondente ad esaltare chi è modesto e meritevole. Così va il mondo.

Ma “Dio resiste ai superbi e fa grazia agli umili”(Giacomo 4.6), “Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri”(1 Pietro 5.5), perché? Perché nulla di ciò di materiale che abbiamo, cose, posizione sociale, meriti eventualmente acquisiti sul lavoro o nella nostra cerchia di conoscenze più o meno grande, potremo utilizzarla per avere una posizione nel mondo a venire. E rimarrà solo quanto avremo fatto e dato al prossimo in quanto figli di Dio. Amen.

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